Partita IVA per Associazione: Con o Senza?

Partita IVA per Associazione: Con o Senza?

La partita IVA per un'associazione non è sempre necessaria. Vediamo insieme quando bisogna aprirla, cosa cambia tra associazione con e senza partita IVA e quali sono gli adempimenti fiscali.

Quando l'associazione può essere senza partita IVA

Un'associazione non deve aprire una partita IVA se percepisce solo:

  • entrate istituzionali, che consistono nelle quote versate dagli associati per l'iscrizione all'associazione e i successivi rinnovi
  • donazioni erogate da enti, aziende e privati (associati e non) per sostenere gli scopi dell'organizzazione
  • entrate "decommercializzate" per legge, ad esempio le raccolte fondi o i ricavi delle vendite occasionali di prodotti di modico valore (entro €50) o i contributi corrisposti da enti pubblici sulla base di apposite convenzioni

Queste entrate non sono tassate e non richiedono l'emissione di una fattura. Tuttavia, è bene specificare che tale beneficio è garantito esclusivamente alle associazioni che hanno trasmesso regolarmente il modello EAS. Quest'ultimo rappresenta una comunicazione che tutti gli enti associativi devono presentare all’Agenzia delle Entrate per godere delle agevolazioni fiscali previste per il settore no profit.

Non essendo necessaria la partita IVA, in questi casi è sufficiente richiedere il solo codice fiscale. Il codice consente all'ente di compiere le operazioni più basilari (es. aprire un conto corrente, stipulare un contratto) ed è inoltre necessario qualora si scelga di registrare l'associazione per rendere conoscibile l'organizzazione ai terzi e beneficiare di ulteriori agevolazioni.

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Quando la partita IVA è obbligatoria

Un'associazione deve aprire una partita IVA se ha delle entrate derivanti da una o più attività commerciali. In generale, sono commerciali tutte le attività rivolte in prevalenza verso persone non iscritte all’associazione. Ad esempio, gli introiti per: ingressi a pagamento di eventi, somministrazione di alimenti e/o bevande (con alcune eccezioni), sponsorizzazioni e pubblicità.

Dal 1º gennaio 2025, anche offrire servizi a pagamento ai propri associati sarà visto come attività commerciale. Le associazioni che svolgono quest’ultima attività anche solo una volta dovranno aprire la partita IVA.

Essendo l'associazione un ente senza scopo di lucro, le attività commerciali devono essere sempre e comunque:

  • secondarie, quindi non possono essere la fonte prevalente di entrate per l’associazione
  • finalizzate a finanziare gli scopi associativi

Se l'attività commerciale, invece, venisse svolta in modo prevalente, l'associazione si vedrebbe applicare il regime di tassazione delle società, perdendo la qualifica di ente no profit.

Si deve valutare qual è l’attività prevalente ogni anno, quando si prepara il bilancio dell’associazione. In particolare, bisogna capire:

  • se i ricavi derivanti dalle attività commerciali hanno superato quelli derivanti dalle attività non commerciali 
  • se le spese sostenute per organizzare le attività commerciali hanno superato quelle sostenute per organizzare le attività non commerciali

Quando si valuta qual è l’attività prevalente, l’erogazione di servizi a pagamento ai propri associati viene ancora considerata un’entrata non commerciale salvo casi particolari.

La realizzazione di entrate commerciali obbliga l'ente ad aprire una partita IVA, ma solo se le attività commerciali sono svolte in modo abituale. Per abituale si intende un'attività continuativa con un'organizzazione stabile di mezzi e persone (es. associati coinvolti regolarmente durante l'anno nella vendita di gadget ai terzi). Se l'attività commerciale è puramente occasionale (es. piccolo spettacolo annuale a pagamento aperto al pubblico), l'associazione non è obbligata ad aprire una p. IVA. Non sono stai fissati dei riferimenti normativi precisi per qualificare un'attività come occasionale. Tuttavia, in base ad alcune disposizioni fiscali di settore, si ritiene consigliabile non superare il numero di 2 eventi per anno e incassi per €50.000.

Per un'associazione tenuta ad aprire la partita IVA, quest'ultima è alternativa al codice fiscale. Infatti, l'ente potrà richiederla direttamente senza dotarsi preventivamente del codice. In ogni caso, anche chi decide soltanto in un secondo momento di svolgere con regolarità attività commerciale potrà comunque richiedere la p. IVA, pur avendo già un codice fiscale.

Come richiedere la p. IVA per un'associazione

Per fare richiesta della partita IVA, il presidente dell'associazione dovrà compilare e presentare il modello AA7/10 all'Agenzia delle Entrate. La richiesta è gratuita ma la compilazione del modello potrebbe risultare complicata in quanto occorre indicare il codice ATECO corrispondente alle attività commerciali svolte.

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Adempimenti fiscali

Le associazioni con p. IVA devono emettere fattura per le entrate commerciali. Come previsto per le società, anche gli enti no profit hanno l'obbligo della fatturazione elettronica, che dal 1º gennaio 2024 coinvolge anche chi ha aderito al "regime forfettario" previsto dalla legge n. 398/1991.

Il regime forfettario è un regime fiscale di vantaggio inizialmente introdotto per i soli enti sportivi dilettantistici, per poi essere esteso a tutti i tipi di associazione. Tra i benefici di questo regime spicca l'esonero dall'applicazione dell'IVA. Le agevolazioni previste dal regime sono però disponibili solo per le no profit che non superano €400.000 di ricavi annui per attività commerciale.

La recente riforma del terzo settore, non ancora del tutto in vigore, ha unito sotto un unico grande gruppo gli enti no profit. Non appena essa sarà completamente operativa, il regime forfettario non potrà più essere scelto da molte organizzazioni che potranno però aderire a nuove misure fiscali. Tra le varie disposizioni annunciate, è prevista l'applicazione di aliquote agevolate sui ricavi commerciali.

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